Repetita iuvant (Take #2)

Per essere uno scrittore, scrivi molto poco, lo sai? Ci sono stati pittori che scrivevano più di te. Pensa a Van Gogh, per esempio. Lui scriveva molto. Lettere, diari. Non faceva altro che dipingere e scrivere e passeggiare per le campagne francesi e olandesi. Poi è impazzito e si è ammazzato, dopo essersi mozzato un orecchio probabilmente a causa di una donna. Per essere uno scrittore, scrivi molto poco, sì. Lo so che passi tanto tempo a pensare di scrivere e che nei tuoi pensieri hai scritto fiumi di parole, ma non funziona così. Gli scrittori, quelli veri, scrivono sui fogli di carta o almeno su un supporto virtuale. Quelli che fanno come fai tu si chiamano scrittori immaginari. Immaginano tante cose e immaginano di scriverle, ma di fatto non scrivono un bel niente. Essere uno scrittore immaginario è piuttosto semplice. Un po’ come essere un musicista immaginario. Hai presente quando ascolti un disco di Bill Evans e muovi le dita sul tavolo facendo finta di suonare le note che suona lui? Ecco questo è un pianista immaginario. Non molto impegnativo, vero? Suonare per davvero, così come scrivere per davvero, è tutto un altro paio di maniche. Ti devi sedere, carta e penna alla mano, oppure mani sulla tastiera, e concentrarti. Devi trovare qualcosa da dire, il modo in cui dirlo e un punto verso cui tendere e infine giungere. Capita spesso in quei momenti che le parole non saltino fuori con facilità. Quasi come se andandole a cercare si spaventassero e andassero a nascondersi nei recessi più remoti del tuo cervello. Come piccoli gattini nati da poco, ancora diffidenti degli esseri umani, che si infilano in tutti i più piccoli pertugi mano a mano che ti avvicini per cercare di prenderli e accarezzarli e magari dargli qualcosa da mangiare. Le tue intenzioni sono le più nobili che ci possano essere, ma loro non lo sanno, perché sono solo gattini neonati e pensano soltanto a tenersi stretta quella vita così giovane e fragile che si sono ritrovati fra le zampe. Altre volte le parole sono lì, pronte all’uso, ma non sai dove vuoi andare a parare. Le lettere si aggrovigliano e i pensieri si ingarbugliano. Un’esperienza atroce e frustrante, ma lo scrittore, quello vero, sa tener duro e sa domare le parole e i propri pensieri e da qualche parte prima o poi approda. Certo, devi stare lì seduto alla scrivania. Resistere alle distrazioni e alla frustrazione e mantenere la concentrazione, che in certi momenti sembra guizzare a destra e a manca come una saponetta fra due mani bagnate. Nel frattempo passano le ore, la pagina si riempie se stai facendo un buon lavoro nel mantenere i nervi saldi, il sole cala, il buio avanza, il freddo preme e tu sei solo, immerso nel vortice dei tuoi pensieri, cullato dal ticchettìo della tastiera o dal grattare della stilografica sulla carta, sempre più vuoto a ogni carattere digitato o a ogni tratto vergato. Alla fine, alzi la testa, guardi la finestra che ormai riflette solo la tua immagine dalla quale risaltano i tuoi occhi stanchi, e ti senti leggero. Il peso che portavi addosso l’hai riversato tutto sulla carta o sullo schermo del computer e il sollievo si mischia con il disagio, perché quasi senti la mancanza del tuo fardello, ora che non c’è più, o perché scaricandolo hai scoperto che era molto più pesante di quello che pensavi. Allora riordini i fogli o ritorni alla prima pagina e inizi a rileggere tutto quello che ti sei sforzato di comporre. Correzioni tagli aggiunte, il lavoro è finito. Metti da parte i fogli o salvi il file e ricominci a scrivere da capo tutto quello che hai appena scritto. Per essere uno scrittore, scrivi molto poco, lo sai? Ma c’è chi direbbe che non si scrive mai abbastanza.

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Copyright Filippo Mattioli, riproduzione riservata.

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